La semplificazione dell'azione amministrativa

Focus di giurisprudenza amministrativa: Il risarcimento del danno da ritardo

 

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Risarcimento del danno da ritardo; prova sull’an e sul quantum; art.2-bis legge n. 241 del 1990

 

> Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358

“6.1. Come è noto, l’art. 2-bis l. n. 241/1990 prevede due distinte ipotesi di risarcimento del danno:

  • la prima, afferente al “danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine del procedimento” (art. 2-bis, co. 1, l. n. 241/1990);
  • la seconda afferente al danno derivante di per sé dal fatto stesso di non avere l’amministrazione provveduto entro il termine prescritto, nelle ipotesi e alle condizioni previste (art. 2-bis, co. 1-bis).

6.1.1. Orbene, l’art. 2-bis, co.1, prevede la possibilità di risarcimento del danno da ritardo/inerzia dell’amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non già come effetto del ritardo in sé e per sé, bensì per il fatto che la condotta inerte o tardiva dell’amministrazione sia stata causa di un danno altrimenti prodottosi nella sfera giuridica del privato che, con la propria istanza, ha dato avvio al procedimento amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 2016 n. 4028).

Il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest’ultimo deve fornire la prova sia sull’an che sul quantum (Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2016 n. 3059), deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell’amministrazione.

E ciò sempre che, nell’ipotesi ora considerata, la legge non preveda, alla scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, un’ipotesi di silenzio significativo (Cons. Stato, sez. III, 18 maggio 2016 n. 2019).

In particolare, come la giurisprudenza ha avuto modo di osservare (cfr. C.g.a., 16 maggio 2016 n. 139; Cons. Stato, sez. VI, 5 maggio 2016 n. 1768; sez. V, 9 marzo 2015 n. 1182; sez. IV, 22 maggio 2014 n. 2638): “l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante).”

In definitiva, benché l’art. 2-bis cit., rafforzi la tutela risarcitoria del privato nei confronti della pubblica amministrazione, “la domanda deve essere comunque ricondotta nell’alveo dell’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità”. Tale impostazione ha ricevuto l’avallo indiretto della Corte di Cassazione (cfr. Sezioni unite civili, ordinanza 17 dicembre 2018, n. 32620 che hanno confermato la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, 22 settembre 2016, n. 3920).

... Omissis ...

6.1.3. Perché, dunque, possa parlarsi di una condotta della Pubblica Amministrazione causativa di danno da ritardo, oltre alla concorrenza degli altri elementi costitutivi della responsabilità ex art. 2043 c.c., occorre che esista, innanzi tutto, un obbligo dell’amministrazione di provvedere entro un termine definito dalla legge a fronte di una fondata posizione di interesse legittimo ad ottenere il provvedimento tardivamente emanato. E tale obbligo di provvedere sussiste, ai sensi del comma 1 dell’art. 2, l. n. 241/1990, laddove vi sia un obbligo di procedere entro un termine definito (“ove il provvedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio.”).

Al contempo, deve ritenersi che – sussistendo i suddetti presupposti – il danno da ritardo, di cui all’art. 2-bis l. n. 241/1990, può configurarsi anche nei casi in cui il procedimento debba essere avviato di ufficio (e, dunque, vi sia l’obbligo di concluderlo).Ciò si desume, oltre che da ragionevoli argomentazioni di ordine generale, dalla evidente differenza letterale tra i primi due commi dell’art. 2-bis, dove solo il secondo di essi (co. 1-bis), si riferisce espressamente al procedimento ad istanza di parte. Ma, in questo caso, occorre sia la chiara previsione normativa di un termine per l’avvio e per la conclusione del procedimento (supplendo in questo secondo caso, in difetto di previsione, il termine generale di cui all’art. 2, co.2, l. n. 241/1990), sia l’esistenza di una posizione di interesse legittimo che, come tale, presuppone la natura provvedimentale dell’atto medesimo”.

 

 

Risarcimento del danno; art. 2-bis legge n. 241 del 1990; indennizzo forfettario.

 

> TAR Lazio, Roma, Sez. II quater - 3 ottobre 2019 n. 11517

“Quanto alla domanda di risarcimento del danno ingiusto subito dal ricorrente in conseguenza dell'inosservanza del termine di conclusione del procedimento (richiesto dalla parte ricorrente a titolo di danno da ritardo mero), va osservato che l’art. 2-bis, comma 1 bis, della legge n. 241/1990 – che ha riconosciuto il diritto alla riparazione della perdita del tempo, quale autonomo bene della vita, e dell’interesse ad uscire da uno stato di incertezza anche al fine di poter liberamente autodeterminare la propria attività – prevede la riparazione di tale lesione in via forfettaria, mediante il riconoscimento di un’indennità parametrata al perdurare dell’inezia, a condizione, però, che venga attivato il rimedio sostitutivo di cui all’art. 2, comma 9 bis, della legge n. 214/1990, come prescritto dall’art. 28 del DL 21 giugno 2013 n. 69 (conv. in Legge 9 agosto 2013 n. 98). Tale norma - che costituisce un’applicazione allo specifico rimedio in parola del principio sancito, più generalmente, per qualunque strumento risarcitorio dall’art. 30 co. 3, secondo periodo, d.lgs. n. 104/2010 - è ritenuta applicabile non solo ai procedimenti amministrativi relativi all'avvio e all'esercizio dell'attività di impresa espressamente contemplati dall’art. 28 del ripetuto DL n. 69/2013, ma anche, almeno in assenza del regolamento previsto dall’art. 2 bis della legge n. 241/90, in generale, a tutti i procedimenti amministrativi.

Il ricorrente non ha fornito la prova di avere attivato tale preventivo rimedio, per cui la domanda risarcitoria, in relazione a tale profilo, non può essere accolta. Peraltro, non può essere accolta nemmeno la domanda di risarcimento del danno da ritardo ai sensi dell'art. 2-bis, comma 1, l.n.241/1990.La predetta disposizione, a differenza dell'indennizzo per il "mero ritardo" di cui al successivo comma 1-bis sopraricordato, non ha elevato a bene della vita, suscettibile di autonoma protezione mediante il risarcimento del danno, l'interesse procedimentale al rispetto dei termini dell'azione amministrativa, avulso da ogni riferimento alla spettanza dell'interesse sostanziale, al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato, come ribadito anche di recente da questo Tribunale (vedi, tra tante, TAR Lazio, sez. II quater, n. 10626/2019).

La giurisprudenza maggioritaria, infatti, riconduce il danno da ritardo all'art. 2043 c.c. - con tutto quel che consegue in merito all’onerosità della dimostrazione degli elementi costitutivi – anche per quanto riguarda l’elemento oggettivo (an e quantum del danno prodotto) e l’elemento soggettivo (dolo o colpa) –- non essendo sufficiente la mera circostanza di fatto della protrazione del tempo di conclusione del procedimento amministrativo” (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, n. 1740/2019; sez. IV, n. 701/2018; sez. V, n. 1239/2016).

Pertanto, per conseguire il risarcimento del danno ingiusto cagionato per l'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento occorre fornire la prova circa la spettanza del bene della vita, il cui ottenimento è stato posticipato o pregiudicato dal ritardo doloso o colposo con cui l'Amministrazione ha concluso il relativo procedimento amministrativo, con conseguente impossibilità di conseguire il risarcimento del danno "da ritardo", qualora l'istante non possa ottenere il bene della vita richiesto”.

 

> Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 4 maggio 2018 n. 5

Diritto 42) “L’art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/1990 (introdotto dall’art. 28, comma 10, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazione dalla legge 9 agosto 2013, n. 98), ha espressamente previsto che “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.

Secondo l’interpretazione più accreditata, con tale norma il legislatore – superando per tabulas il diverso orientamento in passato espresso dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 15 settembre 2005, n. 7 – ha introdotto la risarcibilità (anche) del c.d. danno da mero ritardo, che si configura a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento (ad esempio, il diniego di autorizzazione o di altro provvedimento ampliativo adottato legittimamente, ma violando i termini di conclusione del procedimento).

Il danno deriva dalla lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale: il ritardo nell’adozione del provvedimento genera, infatti, una situazione di incertezza in capo al privato e può, dunque, indurlo a scelte negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni) che non avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l’adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dell’amministrazione.

Anche in questo caso viene, quindi, in rilievo un danno da comportamento, non da provvedimento: la violazione del termine di conclusione sul procedimento di per sé non determina, infatti, l’invalidità del provvedimento adottato in ritardo (tranne i casi eccezionali e tipici di termini “perentori”), ma rappresenta un comportamento scorretto dell’amministrazione, comportamento che genera incertezza e, dunque, interferisce illecitamente sulla libertà negoziale del privato, eventualmente arrecandogli ingiusti danni patrimoniali.

43. Non si tratta, a differenza, dell’indennizzo forfettario introdotto in via sperimentale dal comma 1-bis dello stesso articolo 2-bis (inserito dall’art. 28, comma 9, del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 213, n. 98), di un ristoro automatico (collegato alla mera violazione del termine): è, infatti, onere del privato fornire la prova, oltre che del ritardo e dell’elemento soggettivo, del rapporto di causalità esistente tra la violazione del termine del procedimento e il compimento di scelte negoziali pregiudizievoli che non avrebbe altrimenti posto in essere.

La tesi secondo cui quello configurato dall’art. 2-bis, comma 1, rappresenti un’ipotesi tipica di danno da comportamento scorretto (il ritardo) lesivo di un diritto soggettivo (la libertà negoziale) trova, del resto, conferma nella previsione dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 1, Cod. proc. Amm. che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di “risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.

Alla luce della concezione c.d. rimediale del risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo (abbracciata dalla Corte costituzionale nella storica sentenza n. 204 del 2004 e ripresa dall’art. 7 del Codice del processo amministrativo), la previsione per il danno da ritardo della giurisdizione esclusiva implica necessariamente la (e si giustifica alla luce della) qualificazione in termini di diritto soggettivo della situazione giuridica lesa dal ritardo dell’amministrazione.

La tesi trova ulteriore conferma nell'articolo 2 della legge n. 241 del 1990, che sottrae il tempo del procedimento alla disponibilità dell’amministrazione e, di conseguenza, riconosce che la pretesa al rispetto del termine assume la consistenza di un diritto soggettivo (un modo di essere della libertà di autodeterminazione negoziale) a fronte della quale l’amministrazione non dispone di un potere ma è gravata da un obbligo.

44. Da tale quadro giurisprudenziale e normativo emerge, quindi, che i doveri di correttezza, lealtà e buona fede hanno un ampio campo applicativo, anche rispetto all'attività procedimentalizzata dell’amministrazione, operando pure nei procedimenti non finalizzati alla conclusione di un contratto con un privato”.

 

 

Prova dell’an e del quantum del danno

 

> Consiglio di Stato, sezione VI, 2 maggio 2018, n. 2624

“….in materia va ribadito come la domanda di risarcimento del danno, non sostenuta dalle allegazioni necessarie all'accertamento della responsabilità dell'Amministrazione, debba essere disattesa, in quanto grava sul danneggiato l'onere di provare gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno e, dunque, almeno di una diminuzione patrimoniale o di perdita di chance, con la conseguenza che la totale assenza di queste indicazioni priva il giudice anche della possibilità di una valutazione equitativa (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V 21 giugno 2017 n. 3052 e 21 giugno 2013 n. 3405);

- in altre parole, sul ricorrente che chiede il risarcimento del danno da cattivo esercizio della funzione pubblica grava l'onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda — in particolare circa l'esistenza del pregiudizio -, e se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici per fornire la dimostrazione dell'an e del quantum del danno, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di fatto precise, alla cui carenza non si può supplire con la valutazione equitativa ex art. 1226 cod.civ., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare esatto del pregiudizio subito, non potendo neppure essere invocata una consulenza tecnica d'ufficio per ovviare al mancato assolvimento dell'onere probatorio del privato;

- peraltro, la domanda è infondata anche in relazione ai presupposti ulteriori del c.d. danno da ritardo;

- in proposito va fatta applicazione del prevalente orientamento di questo Consiglio, a mente del quale la pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo va ricondotta allo schema generale dell' art. 2043 c.c. , con conseguente applicazione rigorosa del principio dell'onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell'illecito, con l'avvertenza che, nell'azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall'art. 2697 comma 1, c.c. , opera con pienezza, e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento; il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, implica una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l'altro, anche alla dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse e, di conseguenza, non è di per sé risarcibile il danno da mero ritardo (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. IV 17 gennaio 2018 n. 240 e sez. VI 10 luglio 2017 n. 3392)”.

 

> Consiglio di Stato, sezione IV, 17 gennaio 2018, n. 240

“16….omissis a) la pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo va ricondotta allo schema generale dell'art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell'onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell'illecito, con l'avvertenza che, nell'azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall'art. 2697 comma 1, c.c., opera con pienezza, e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (giurisprudenza ormai costante: cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 28 dicembre 2016, n. 5497; sez. IV, 30 giugno 2017, n. 3222);

b) il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, implica una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l'altro, anche alla dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 2015, n. 4712; sez. IV, 23 giugno 2017, n. 3068);

c) di conseguenza, non è di per sé risarcibile il danno da mero ritardo (cfr. Cons. Stato, n. 3068/2017, cit., secondo cui neppure l'entrata in vigore dell'art. 2 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, peraltro inapplicabile ratione temporis alla vicenda controversa, ha elevato a bene della vita - suscettibile di autonoma protezione mediante il risarcimento del danno - l'interesse procedimentale al rispetto dei termini dell'azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell'interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato)”

 

> Consiglio di Stato, sezione IV, 23 giugno 2017, n. 3068

“2.2. …(omissis) ..radicato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale (ex plurimis Consiglio di Stato, sez. IV, 06/04/2016, n. 1371) “il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l'altro, anche alla dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse; l'entrata in vigore dell'art. 2- bis, l. 7 agosto 1990, n. 241 non ha, infatti, elevato a bene della vita suscettibile di autonoma protezione, mediante il risarcimento del danno, l'interesse procedimentale al rispetto dei termini dell'azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell'interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato; inoltre, il riconoscimento della responsabilità della Pubblica amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l'accertamento che l'inosservanza delle cadenze procedimentali è imputabile a colpa o dolo dell'Amministrazione medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell'Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato.”

 

> Consiglio di Stato, sezione IV, 6 aprile 2016, n. 1371

“2.1. Il punto dal quale è necessario muovere riposa nella costante affermazione della giurisprudenza secondo cui “il risarcimento del danno da ritardo relativo ad un interesse legittimo pretensivo non può essere avulso da qualsivoglia valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l'altro, anche alla dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse; l'entrata in vigore dell'art. 2- bis, l. 7 agosto 1990, n. 241 non ha, infatti, elevato a bene della vita suscettibile di autonoma protezione, mediante il risarcimento del danno, l'interesse procedimentale al rispetto dei termini dell'azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell'interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato; inoltre, il riconoscimento della responsabilità della Pubblica amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l'accertamento che l'inosservanza delle cadenze procedimentali sia imputabile a colpa o dolo dell'Amministrazione medesima, che il danno lamentato sia conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell'Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato.” (ex aliis T.A.R. Lecce, -Puglia-, sez. I, 16/12/2015, n. 3582). Ciò, anche laddove venga prospettata la richiesta di liquidazione della chance (ex aliis T.A.R. Toscana, sez. II, 08/10/2013, n. 1345).

Il Collegio condivide detto approdo ermeneutico, dal quale non intende discostarsi, nella convinzione che allo stato attuale della legislazione esso costituisca l’unico punto di equilibrio per evitare il proliferare di richieste risarcitorie infondate, con le quali si stigmatizza un ritardo in relazione a pretese che non avrebbero avuto pratica possibilità di accoglimento.

In relazione a tali pretese, infatti, allo stato l’unica forma di protezione prevista dall’ordinamento sarebbe semmai, ricorrendone i presupposti, quella dell’indennizzo ex art. 2 bis comma 1 bis legge citata.”

 

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Ultimo aggiornamento: giovedì 23 aprile 2020